Parlare due lingue

 Migliora la mente

«Padroneggiare due idiomi di 2 differenti implica anche vedere il mondo in due modi diversi

di Simona Regina
 
Un cervello, due lingue, tanti vantaggi. Molti studi scientifici recenti sostengono che crescere in un ambiente bilingue procuri una vasta gamma di benefici. E non solo strettamente cognitivi. Il bilinguismo è considerato infatti anche, se non soprattutto, uno strumento di cittadinanza: gestire più lingue fin dall’infanzia, favorendo la conoscenza di culture diverse, creerebbe una maggiore tolleranza verso gli altri e farebbe acquisire prima, rispetto ai coetanei monolingui, la consapevolezza che possano esistere punti di vista di Aerenti. Grazie a una maggiore flessibilità cognitiva, i bilingui riuscirebbero infatti ad assumere prospettive diverse nei confronti della realtà circostante. A sostenerlo è, tra gli altri, uno studio pubblicato su Psychological Science.

  La lingua influenza il modo di interpretare la realtà e «parlandone più di una si hanno visioni alternative del mondo» spiega uno degli autori, Panos Athanasopoulos, psicolinguista dell’Università di Lancaster. «Inglesi e tedeschi, per
esempio, hanno un modo diverso di costruire le frasi con cui descrivono eventi: i primi si concentrano di più sull’azione in corso, i
secondi sui suoi possibili esiti. In chi parla correntemente l’una e l’altra lingua, queste interpretazioni alternative convivono: i bilingui, oltre a usare vocaboli e grammatiche
di Aerenti, inconsciamente apprendono così anche modi diversi di vedere il mondo. C’è insomma un legame indissolubile tra lingua, cultura e cognizione» dice. Come ribadisce lo psicologo americano Jerome Bruner, il linguaggio è allo stesso tempo lo strumento e il creatore della cultura, che a sua volta si riflette nella struttura della lingua.

  Poi, ovviamente, ci sono gli studi sugli e-etti del bilinguismo sulle attività cognitive in senso stretto: diversi sostengono si tratti di un vero toccasana per il cervello, che aiuti la memoria, la concentrazione e dia una marcia in più per eseguire diversi compiti anche contemporaneamente, ignorando le distrazioni. La cosa non stupisce: chi è cresciuto in una famiglia bilingue ha dovuto acquisire prestissimo l’abilità di spegnere l’interruttore di una lingua, a seconda del contesto e dell’interlocutore, per usare l’altra. «I bambini bilingui apprendono che gli oggetti e gli eventi del mondo hanno due nomi e passano in modo flessibile tra le due etichette lessicali, sottoponendo il cervello a un buon esercizio» spiega
sul Journal of Phonetics Patricia Kuhl, dell’Institute for Learning & Brain Sciences dell’Università di Washington. Studi basati sulla neuroimaging (tac e risonanze 
magnetiche) rivelano come in questo switching linguistico siano coinvolte diverse aree del cervello. «In particolare nei bilingui sono più attive soprattutto le aree normalmente coinvolte nel controllo dei compiti cognitivi e nella risoluzione delle informazioni conflittuali, come la corteccia sinistra frontale inferiore. Alcuni studi, inoltre, hanno riscontrato, soprattutto nei
bilingui precoci, una maggiore densità di materia grigia nella corteccia parietale inferiore » spiega Antonella Sorace, che è docente di Sviluppo del linguaggio all’Università di Edimburgo e dirige il centro Bilingualism matters (versione italiana sul sito www.bilinguismoconta.it), un progetto di di-usione del multilinguismo al quale partecipano molti ricercatori.

  Crescere in un ambiente familiare poliglotta potenzia le cosiddette funzioni esecutive, quei processi cognitivi che consentono di inibire azioni inappropriate al contesto e allo scopo e di focalizzare l’attenzione solo sui dettagli rilevanti. Il bilinguismo, in pratica, è una sorta di allenamento al multitasking. «Il bimbo bilingue ha un cervello più duttile, anche se questo
non significa che sia più intelligente: è semplicemente più pronto a riconoscere, e ad acquisire più velocemente, suoni e strutture linguistiche di-erenti» aggiunge il neuroscienziato spagnolo Jacques Mehler, che dirige il Language, Cognition and Development Lab della Sissa (International School for Advanced Studies) di Trieste. «Le strategie acquisite nell’infanzia gli rendono, per esempio, più facile apprendere anche una terza o quarta lingua da adulto» spiega Sorace.

  Ma dover gestire, in alcuni casi fin dalla nascita, due lingue può creare confusione e rallentare lo sviluppo delle abilità linguistiche, come si diceva in passato? A quanto pare, si tratta di una leggenda. «Lo sviluppo del linguaggio nel bambino bilingue segue lo stesso ritmo del bambino monolingue» dice Barbara Abdelilah-Bauer, linguista e autrice di Guida per genitori di bambini bilingui (Ra-aello Cortina editore, pp. 158, euro 13,60). I bambini possono imparare, senza sforzo, più lingue così come imparano a camminare, se hanno
l’opportunità di sentirle nella vita quotidiana e se devono usarle per comunicare.

Insomma, «come una regolare attività fisica fa bene al nostro corpo, il destreggiarsi fra più lingue è un ottimo allenamento per il cervello, che impara a essere più flessibile» ribadisce Athanasopoulos. Gli e-etti di questo esercizio continuano nel tempo: secondo ricercatori della York University di Toronto parlare fluentemente e spesso due lingue contribuisce a ritardare l’insorgenza di alcune forme di demenza. Dover costantemente monitorare il contesto per decidere quale lingua usare contribuirebbe infatti a preservare più a lungo le funzioni cognitive. «La buona notizia » commenta Thomas Bak, tra gli autori di uno studio su Annals of neurology, «è che questi benefici valgono anche per chi non è cresciuto in una famiglia bilingue».

  «Non c’è infatti una sola strada, ma una molteplicità di percorsi che conducono al bilinguismo» sottolinea Abdelilah-Bauer «e oggi incontriamo un numero crescente di persone che sono in contatto con due o più lingue nella loro vita quotidiana, in un mondo diventato villaggio globale». Del resto, «se si considera la ripartizione delle circa 6.900 lingue recensite nel mondo, il bilinguismo va considerato la norma e il monolinguismo l’eccezione. Almeno la metà della popolazione mondiale è bilingue, o plurilingue».

  Qualcuno però frena gli entusiasmi. Che parlare una seconda lingua ampli gli orizzonti sociali e culturali nessuno lo nega, «ma non illudiamoci di invecchiare meglio o di poter gestire efficacemente più compiti semplicemente imparando una seconda lingua» dice Barbara Treccani, professoressa di Psicologia generale all’Università di Sassari, che in un articolo pubblicato recentemente su Psychological Sciences invita alla cautela nel dare per
scontato che il bilinguismo sia il passaporto per essere più smart. «Non si può ignorare il meccanismo per cui le riviste scientifiche sono più propense a pubblicare risultati positivi, quindi anche quelli che confermano i vantaggi del bilinguismo» aggiunge Sergio Della Sala, professore di neuroscienze cognitive all’Università di Edimburgo e coautore dello studio. «Il nostro lavoro suggerisce l’esistenza di distorsioni nella letteratura sull’argomento. Non ci permette però né di avvalorare né di confutare l’ipotesi di una maggiore capacità dei bilingui nel gestire efficacemente più compiti rispetto ai monolingui» dice Treccani. Insomma, forse delle di-erenze tra bilingui e no esistono davvero, ma per sapere esattamente quante e quali siano bisognerà aspettare altri studi.


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